Concorso Letterario di Psicologia

Oggi lo so, da bambino avevo già capito tutto

Mancano due giorni al termine delle iscrizioni per il Concorso Letterario Nazionale. Il tema di quest’anno è certamente provocatorio: Oggi lo so, da bambino avevo già capito tutto. Forse molti, come prima reazione, si chiederanno qualcosa del tipo, “E poi che m’è successo?”. Noi invece ci facciamo un'altra domanda: perché è lecito affermare che da bambini abbiamo capito qualcosa di importante, e che nel corso del tempo questo qualcosa abbia finito per scivolarci via come sabbia tra le dita?

L’esperienza delle Scienze dell’educazione e della Psicologia dello sviluppo ci possono fornire alcuni tentativi di risposta.

I bambini sono attivi, curiosi, esplorano.

Un bambino raramente non si guarda intorno, non interagisce col mondo, non si lascia sorprendere o si muove in modo uniforme nello spazio. La routine è un’attitudine adulta, che può essere utile ai più piccoli per avere una struttura, ma che mai per loro rischia di diventare abitudine. Forse possiamo fermarci a guardare più spesso le nuvole mentre camminiamo, anche se il rischio di uscire dai soliti binari ci farà venire i brividi alla base del collo.

I bambini fanno gioco di squadra.

Chiunque lavora con gruppi di bambini piccoli, al nido per esempio, sa bene come la cosa che più interessa loro siano i coetanei. I bambini interagiscono, si organizzano, si aiutano per raggiungere piccoli e grandi obiettivi. Noi quanto siamo orgogliosi per chiedere aiuto, quanto siamo concentrati a realizzarci con i nostri soli sforzi? I bambini ci insegnano l’interdipendenza.

I bambini accolgono la diversità.

Differenze di genere, disabilità o altri colore della pelle. Sono concetti che un bambino non usa per interpretare il mondo, al massimo ne sente parlare dai genitori. L’accettazione, l’integrazione e la competenza interculturale dei bambini sono imbattibili, forse come adulti dovremmo cercare di restare al passo.

I bambini quando cadono provano a rialzarsi.

Un bambino cerca di camminare e cade. Sbatte le ginocchia, casca sulle mani. Non emette un lamento, al massimo farà un piantarello che ha imparato per rassicurare la mamma. Lui si rialza, ci riprova e cade un’altra volta. Non ha la certezza che riuscirà a camminare come i genitori, non sa che è inscritto nel suo DNA. Non si fa troppe domande, insomma, ci prova e basta. Noi come ci rapportiamo al fallimento?

Così come il tema di quest’anno, volevamo darvi qualche spunto provocatorio, senza la pretesa di essere esaustivi o troppo seri. Lasciamo parlare il bambino che è in ognuno di noi.

BUON LAVORO A TUTTI I PARTECIPANTI.


  • Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.