• Valentina Franzese
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Sempre più social, ma sempre meno socializzati

Ieri A., un ragazzone simpatico di 17 anni, si è ammalato e non è potuto venire a studio, ma non ha voluto rinunciare al suo appuntamento e mi ha proposto di vederci online:

“Insomma facciamo una PAD, Psicoterapia a Distanza!”, scherzo io.

“No, ti prego”, mi risponde, “della scuola a distanza non ne posso più!”

Il giovane A., come molti suoi coetanei, non sopporta più la modalità scelta per portare avanti la didattica. Più che altro, soffre l'assenza di attenzione psicologica e di valenza educativa che caratterizza questa modalità.

In un Paese che si vanta di aver dato i natali alla Montessori, a Rodari e a Collodi, c’è stata e c’è tutt’ora scarsissima attenzione alla formazione dei nostri ragazzi, ancora strutturata su modalità obsolete che non tengono conto della profonda trasformazione che caratterizza le nuove generazioni.

Ne è la prova il fatto che in questa devastante pandemia sembra non sia stato minimamente preso in considerazione il forte dolore psicologico che i ragazzi ci stanno comunicando, né si sono cercate alternative ad una DAD che tanto disagio sta provocando.

La pandemia, tra le molte cose, ha messo in luce l’inadeguatezza del sistema scolastico in generale e la pressoché scarsa presa di coscienza che la scuola, per tornare ad essere strumento di formazione, deve necessariamente cambiare. Dove per “formazione” non intendo il semplice apprendimento nozionistico da ripetere a memoria in maniera omologata, piuttosto mi riferisco a quel processo che deve sostenere la crescita emotiva dei giovani, che deve accogliere e guidare il loro variegato e complesso repertorio comportamentale e che deve stimolare la nascita di una pluralità di pensieri e ragionamenti.

La scuola è un palcoscenico sociale, è il debutto interpersonale, è sperimentazione di sé, è la ricerca di ciò che si vuole diventare, è la scoperta di un mondo sociale diverso dalla propria famiglia. Soprattutto, è il “laboratorio” dove tutti noi abbiamo sperimentato le nostre competenze e dove abbiamo cercato una conferma al nostro “valore” negli sguardi dei compagni e dei professori.

È da un anno che i ragazzi non incrociano più questi sguardi! La DAD così com’è stata progettata, non avendo cercato in tutti questi mesi proprio nella scuola un’alternativa sociale e di conforto all’isolamento relazionale e comunicativo, ha creato il giusto habitat per fare crollare del tutto il già delicato mondo dei nostri ragazzi.

“Valenti’, quest’anno se non mi bocciano mi porterò tanti di quei debiti…”

Così mi dice L., 15 anni, preoccupata e soprattutto delusa per come sta andando il suo primo anno di liceo, nel quale aveva riposto tante aspettative, per un riscatto sociale che non c’è stato, per la poca presenza in classe e per l’eccessiva severità ed intransigenza di molti dei suoi prof. È delusa L., come tanti suoi coetanei.

A differenza di quanto accaduto in passato, quando ciò che sosteneva il giovane era un senso di rivalsa e di ribellione, la nuova generazione si sta differenziando e sta crescendo attraverso la delusione e l’indifferenza, l’apatia e il disinteresse.

Cara L., siamo noi adulti ad avere dei debiti con te, con tutti voi, per non avervi considerato in questa pandemia, per aver sottovalutato il vostro disagio, per non aver accolto ciò che già da tempo ci stavate comunicando, per non aver ancora creato un ambiente adatto alla vostra crescita. Come un Cristo che si è fermato ad Eboli, vi abbiamo lasciato lì dove vi siete bloccati, senza venirvi a prendere.

E la DAD è andata avanti, molti sono rimasti indietro, senza pensare che una scuola senza ragazzi non è una scuola, e un presente senza giovani che credono in sé non porta a nessun domani!

Forse dovremmo pensare di rimettere al centro i ragazzi quali portatori di idee, sentimenti ed interessi; dovremo tornare a valorizzare le differenze, piuttosto che omologarli in unidirezionali modalità di pensiero. Iniziando da una seria riforma scolastica che veda la scuola come valida alternativa sociale, come palestra culturale, come luogo privilegiato per una sana educazione affettiva e sessuale, che insegna ad Essere, anche attraverso il pensare.

Ho chiesto ad A. che nome possiamo dare ad una psicoterapia a distanza:

“Chiamiamola VC”, mi ha risposto.

“Come le indicazioni per il bagno?!”, gli domando.

“Ma no, che dici? Significa VideoConfidenze!”

Chiedono questo i miei ragazzi, i nostri ragazzi: di rimettere al centro la Relazione.

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